La carnevalata tutta italiana delle mascherine

Vorrei tanto che tutti smettessimo di parlare solo di Covid, io per primo. Purtroppo le assurdità quotidiane dei DPCM che sembrava dovessero restare sbiaditi ricordi del passato con il passaggio della campanellina da Giuseppe Conte a #MarioDraghi come in quilino di Palazzo Chigi – Presidenza del Consiglio dei Ministri continuano e sono anzi destinate a paggiorare.

Tralascio la questione dei beni di primaria necessità, delle discriminazioni anche ospedaliere tra #vaccinati e #nonvaccinati , questi ultimi talvolta anche per validi motivi di esenzione. Ne hanno già scritto in tanti.

Vorrei invece tornare sulla questione mascherine: agli inizi, se ben riceordate, la tarantella era #mascherinaSI o #mascherinaNO e alla fine è stata per tutti #mascherinachirurgica che è ben noto viene usata in ambiente medico per impedire all’operatore sanitario di contagiare il aziente durante la fase di espirazione; in effetti la tenuta in tale direzione è notevole e pare arrivi allo 0%, ossia a trattenere praticamente il 100% di possibili agenti patogeni, impedendo che questi giungano al paziente! Per contro la filtrazione in entrata della #mascherinachirurgica è estremamente bassa; lascia infatti penetrare fino ad un 80% possibili agenti patogeni che vanno in tal caso a colpire il malcapitato operatore sanitario (medico, infermiere, OSS o altro che si trovi ad operare in ambiente frequentato da individui contagiati e quindi contagiosi.

Adesso il virus Sars-CoV-2 si sta diffondendo in modo ancora piu’ rapido degli inizi della pandemia, arrivando senza problemi a contagiare anche i vaccinati con piu’ dosi, compresi quelli che si sono fatti inocoluare la #terzadose (migliaia gli hashtag di chi si vanta personi di averla fatta ….. la dose almeno, non la malattia per fortuna). Nel contempo pare omai abbastanza acclarato che sia fortemente diminuita la sua pericolosità, al punto che sempre piu’ paesi stanno allentando, chi progressivamente e chi tutte inseme, come ad esempio la #GranBretagna, le varie restrizioni.

E qui viene il bello!

Agli albori della pandemia dopo la tarantella iniziale, l’imposizione della mascherina chirurgica, gli scandali che ne sono conseguiti anche per la palese incapacità ed inefficienza dell’allora commissario #Arcuri, ……si’ quello che la sua vocina robotica e quel carattere spocchioso …. si’ proprio lui, quello che si sarebbe dovuto occupare di risolvere, non dico tutti, ma almeno alcuni dei problemi dell’emergenza sanitaria. Cos’era capace di fare invece: fare la conta di morti e feriti e non rispondere alle domande che gli venivano poste, in modo perlopiu’ quasi sempre estremamente sgarbato.

Il ritornello era “dobbiamo proteggere gli altri”, siamo “altruisti”, pensiamo a chi ci sta vicino, pensiamo ai nonni, ai bambini, ai piu’ deboli. Va bene, va tutto bene …. e a noi stessi no? E perchè? “Perchè no” dicevanno le parole di una notissima canzone di Jannacci. E in tanto il personale medico che nella prima ondata si è contagiato, rimettendoci in moltissimi casi pure la vita, è stato esorbitante. Li hanno chiamati eroi ma non gli avevano dato nelmmeno i #DPI, i Dispositivi di Protezione Individuale; in pratica le #FFP2 oggi d’obbligo tra l’altro sui mezzi pubblici.

Mascherina non piu’ obbligatoria all’aperto … ma non per tutti

Dopo i vari balletti che si trascinano ormai da oltre due anni, del tipo:

  • mascherina SI
  • mascherina NO
  • mascherina SI, ma chirurgica e solo nei luoghi chiusi e sui mezzi di trasporto
  • mascherina anche in casa
  • mascherina SI adesso anche all’aperto
  • solo mascherina FFP2, obbligatoria dappertutto, sia al chiuso e sui mezzi di trasporto e all’aperto
  • senza mascherina all’aperto, ma solo se non ci sono assembramenti

lo scorso fine settimana mentre passeggiavo sul lungomare di una località ligure, mi sono divertito a guardare gli occhi stupefatti di coloro che ancora indossavano una mascherina FFP2, ancorchè non vi fosse un assembramento di persone tale da giustificarne l’uso. Evidentemente non erano informati dell’ennesima novità dell’ultimo momento oppure, irriducibili difensori della salute propria e di quella altrui, avevano scientemente deciso di non potersene ancora privare. Il gruppo degno di citazione che ho incontrato era costituito da due giovani genitori, con un bimbo presumibilmente in età scolare e l’altro nel passeggino: tutti e quattro rigorosamente bardati con il becco bianco, che di sicuro filtrava adeguatamente anche il salmastro diffuso dalla leggera brezza marina!

Qualche cronista, non so su quale base, ha stimato che nei primi giorni del “liberi dalla mascherina all’aperto” ancora il 30% continuasse a portarla. Decisamente, coloro che ho incrociato al mare erano molti di meno, e sulla loro ostinazione a bardarsi comunque non mi permetto di fare ulteriori commenti.

Carnevale

Tra poco sarà carnevale. Sono curioso di vedere se la libertà di circolare all’aperto senza la mascherina di protezione dal virus verrà mantenuta o ci saranno nuovi cambiamenti. Nel caso fosse reintrodotto l’obbligo il dilemma sarebbe: FFP2 sotto la maschera carnevalesca oppure sopra? Ci sarà da divertirsi ……….

Fine del mese …… fine della quarantena a Londra!

Oggi 31 maggio non è solo l’ultimo giorno del mese per me, con oggi termina il mio periodo di quarantena qui a Londra e da domani potrò nuovamente uscire fuori! Sinora ho visto il mondo da un balcone, con giorni grigi e piovosi in classico stile british e giornate soleggiate come ieri. Il traffico è molto scarso perché è un giorno festivo ma in precedenza ho visto dalla mia posizione al sesto piano di un moderno palazzo di un nuovo quartiere residenziale sulle rive del Tamigi, una nazione che si sta riprendendo con molta velocità, i media locali hanno altri argomenti di cui trattare diversi dal Covid che invece continua ad impazzare su TV e giornali vari in Italia. Ho visto gente che senza inutili ammassamenti ha ricominciato il percorso di una vita normale interrotta ormai più di un anno fa dall’arrivo della pandemia, che ha comportato lockdown in certi periodi molto più severi di quelli italiani ma anche un programma di vaccinazioni che ha galoppato senza eccessive polemiche ed inutili dissertazioni, come avvenuto sull’italico fronte, sulla bontà o negatività di questo o quel vaccino. Ho visto e vedo persone che si muovono, come peraltro avevano iniziato a fare da tempo, senza mascherine ….. soprattutto se da soli e all’aria aperta.

Vedo innanzitutto una nazione che va avanti a testa alta, una nazione ed un popolo che si stanno riprendendo appieno la liberta’ dai vincoli e dalle pericolose lungaggini degli euro- burocrati e procedono spediti sulla via del recupero economico e sociale, senza necessita’ di alcun farraginoso Recovery Plan europeo, diversamente da quanto si apprende dalle notizie spesso e volentieri inesatte, sciorinate con frequenza da molti media nostrani, incluse testate finanziarie di chiara fama, al solo fine di non lasciar trasparire i lati positivi della Brexit, che chi ha occhi ben aperti e visione di medio e lungo periodo puo’ ben vedere e che in parte sono gia’ ora tangibili,

Come ben sapete, ho sofferto il contagio di questo terribile virus Sars-Cov-2 con ricovero per l’intero mese di novembre 2020 in terapia subintensiva e ancora adesso, seppure in misura gradualmente sempre più ridotta, ne sto soffrendo le conseguenze. Malgrado’ ciò ho accettato di buon grado di sottopormi ad un test prima della partenza e a due successivi, il giorno 2 ed il giorno 8, durante il mio auto isolamento pur nella consapevolezza che la ricerca degli anticorpi IgM della malattia avrebbero dato esito negativo. Ho tuttora, a distanza di sei mesi, un titolo molto elevato di anticorpi IgG che combattono l’ingresso del virus che provoca il Covid-19; da quanto ho potuto appurare sinora, dalla lettura non solo dei media bensì anche di riviste scientifiche, che la loro entità supera di molto anche i valori degli anticorpi che si sviluppano nei vaccinati, indipendentemente dal vaccino somministrato e che talvolta risultano persino assenti. Cercando di approfittare di questa ulteriore permanenza forzata ho recuperato molto arretrato, lavorando in remoto sui server virtuali, tramite i quali svolgo d’abitudine gran parte della mia attività e mi consentono di essere operativo indipendentemente dalla località in cui mi trovo. I controlli, oltre ai test citati, devo dire che sono quasi ossessivi: ho ricevuto ben due visite di persona di un ispettore dell’NHS, il servizio sanitario nazionale britannico, ricevendo nel contempo almeno una chiamata telefonica di verifica della mia posizione e del mio stato di salute tutti i giorni. Tutto questo devo dire non mi ha assolutamente pesato, convinto come sono che se anche in Italia si fossero adottate o si adottassero almeno ora misure analoghe, si potrebbero evitare molte vittime inutili della pandemia. Che cosa avviene invece? Con la scusa del turismo che si deve riprendere si apre a tutti, senza contare l’endemico e grave problema dei porti aperti in cui, per assurdo, con le continue fughe di persone che ancorché’ inizialmente sottoposte a controlli sanitari divengono spesso di fatto irrintracciabili, si lascia aperta una nazione al continuo rischio di contagio e si subisce la beffa di altre nazioni che, come la Gran Bretagna continuano a mantenere l’Italia a ragione nella lista Amber, e quindi a rischio, mentre collocano ogni giorno nuovi paesi nella lista Green di quelli la cui provenienza non comporta dalla scorso 17 maggio restrizioni particolari. L’attuale lista verde comprende oggi i seguenti paesi: Australia , Brunei, Falkland Islands, Faroe Islands, Gibraltar, Iceland, Israel and Jerusalem, New Zealand, Portugal (including the Azores and Madeira), Singapore, South Georgia and South Sandwich Islands, St Helena, Ascension and Tristan da Cunha. (fonte: informazioni online del Governo)

Mi preme sottolineare a chiare lettere che quelle qui riportate sono informazioni che non possono essere prese in considerazione per valutazioni personali di tipo medico, le quali possono essere fatte esclusivamente da un medico … ed io, pur tenendomi adeguatamente informato per interesse diretto, non lo sono affatto. Non è altresì mia intenzione entrare nel merito di una querelle che dura dall’inizio della pandemia, sull’innumerevole schiera di giornalisti, politicanti ed anche di medici i quali, all’improvviso, si sono scoperti grandi tuttologi, dispensando informazioni e consigli spesso dissennati, causando taluni eccessivi allarmismi ed altri ingiustificato lassismo. Il Covid-19 è una malattia molto seria, lasciatelo ripetere a chi, come me, ne porta ancora i segni sia nel corpo che in particolare nella mente. Se sopravvivi, e non è cosa scontatissima con una malattia definita mortale, la tua vita cambia per sempre come purtroppo capita in tante occasioni anche per altri eventi. Cambia la scala dei valori che attribuisci alle cose e tornano a prevalere gli affetti personali, i parenti più stetti, gli amici …. le persone in generale.

AVVERTENZA IMPORTANTE

Le informazioni di questo articolo afferenti aspetti sanitari, ancorché raccolte con ragionevole cura, sono state riportate a mero scopo informativo e senza alcuna intenzione di divulgazione scientifica ne’ tantomeno medica. Quanto letto non può in nessun caso sostituire un adeguato parere professionale, espresso da parte di personale medico specializzato ed abilitato secondo le norme del paese di esercizio della propria attivita’, che rimane indispensabile.

E’ proprio necessario coniare termini misti con l’uso di due lingue diverse?

Oggi stavo rileggendo un interessante articolo sulla proposta di direttiva #EU #CSRD #CorporateSustainabilityReportingDirective tradotta in Italiano dall’autore” Direttiva Europea sul Reporting di Sostenibilità” e mi sono soffermato a riflettere sul vezzo, quasi esclusivamente italico, di mischiare termini di due lingue diverse.

Per restare in tema di #economiaverde #sostenibilità ed altro, ho avuto modo recentemente di stigmatizzare lo strano connubio contenuto nella norma sulle #SocietàBenefit! Non era meglio chiamarle in modo chiaro e semplice #SocietàdiBeneficio? Piu’ prosaicamente in America Latina sono state denominate “Sociedades Comerciales de Beneficio e Interés Colectivo” o Sociedades #BIC. In ogni caso era assolutamente auspicabile introdurre una legge che prevedesse questa forma giuridica e pertanto non posso che plaudire alla sua emanazione, indipendentemente dal goffo abbinamento. Sono tra l’altro assolutamente orientato alla prevalenza della sostanza sulla forma. Non resta quindi che attendere le prime “rendicontazioni …. pardon, i prossimi “reports”, per valutare come si stia concretizzando l’#impatto di questa inarrestabile trasformazione rispetto alle dichiarazioni d’intenti contenute nei nuovi statuti.

Sempre in tema di inappropriatezze linguistiche

Scorrendo i profili di Italiani su LinkedIn si scopre una tendenza sempre piu’ diffusa all’utilizzo della lingua Inglese in luogo di quella Italiana. Se proprio vogliamo farci conoscere in un ambito internazionale, facciamo almeno lo sforzo di creare il nostro profilo sia in Italiano che nell’altra lingua di nostro interesse. Se da un lato spesso i contenuti di quanto viene pubblicato risultano traducibili da un’applicazione contenuta in LinkedIn, non altrettanto vale per la nostra presentazione che necessita quindi di essere tradotta. Ammiro quei giovani, purtroppo in numero inferiore a quanto sarebbe auspicabile vedere, che avendo innanzitutto approfondito come si utilizza il social, ed essendosi fatti carico di fare il lavoro aggiuntivo che questo richiede, si definiscono ad esempio “Student of Business Administration”, “Green Economy Manager”, “Founder-CEO”,e via dicendo……… o addirittura dei mix del tipo “Fondatore e Partner”, “Lawyer presso Studio….”.

So che ci sono buone probabilita’ che questi miei commenti possano non risultare condivisibili. Pur essendo acclarato che l’inglese continui a contaminare le lingue di sempre piu’ paesi, questo ha sicuramente un senso nell’individuare una lingua comune di comunicazione tra persone che parlano idiomi diversi: altra cosa, mi scuserete, e’ presentarsi ai propri connazionali con definizioni in un’altra lingua o addirittura con termini misti! Sarebbe un po’ come se un Lawyer inglese di definisse Avvocato, oppure un Manager inserisse nel suo profilo il termine Dirigente; lo stesso dicasi ovviamente anche per altre lingue: pensate se un professionista francese al posto di Commissaire aux comptes scrivesse Sindaco ….. i suoi concittadini, traducendo alla lettera, penserebbe che fosse stato eletto Maire della sua cittadina.

Va da se’ comunque che alcune indicazioni proprie di una denominazione sociale o simili non vadano tradotte , se non nel caso in cui la traduzione ufficale sia gia’ presente nelle diverse lingue (es. European Central Bank – ECB | Banca Centrale Europea – BCE). Per tale ragione troverete naturalmente anche nel mio profilo dei nomi di associazioni, di cui sono membro, che non hanno una corrispondenza ufficiale in italiano.

Che dire poi di termini che, tradotti impropriamente in un lingua straniera, ci fanno scoprire che nel paese di origine hanno tutt’altro significato!

La “zuppa inglese” … in Italia

Ricordo un divertente episodio accaduto ormai parecchi anni fa, in un noto ristorante milanese con dei clienti inglesi, al momento del dessert il cameriere con sfoggio di un discreto accento propone un’ottima english soup: uno degli ospiti, piuttosto sorpreso, chiede chiarimenti e, appurato che si trattava di un dolce non riesce a trattenere un’esplosione di ilarita’ in cui coinvolge i propri colleghi. Con molta pazienza, in perfetto british style, spiega quindi al poveretto che lui di solito mangia una english soup a cena e che, trattandosi di un piatto salato non avrebbe mai immaginato che gli venisse proposto per dessert!

English soup

Questo insegna che occorre fare sempre molta attenzione alla traduzione di termini in una lingua diversa da quella in cui sono stati coniati . L’uso del termine nella lingua originale infatti, e’ spesso preferibile ad una traduzione pasticciata e talvolta fuorviante. Come nel caso citato infatti, se in Italia tutti capiscono di cosa parliamo, proponendo un dessert che qualcuno ai tempi ha deciso di chiamare zuppa inglese, traducendolo alla lettera con il nome di un piatto che nulla ha a che fare, rischieremmo di trovarci in imbarazzo dovendo spiegare di cosa si tratta. Immaginatevi se in un ristorante londinese qualcuno vi proponesse un give-me-up, scoprendo che effetti si tratta di un tiramisu’ che sarebbe stato meglio chiamare con il suo nome, considerando peraltro la sua notorieta’ ormai mondiale!


Ce la faro’ a finire tutte le cose che ho da fare oggi?

Una ventina di anni fa mio figlio più piccolo, che allora di anni ne aveva 11, mi confidava di avere qualche difficoltà nel gestire molte cose contemporaneamente. All’epoca i suoi impegni principali, come tutti i ragazzini di quell’età, consistevano innanzitutto nell’occuparsi delle attività scolastiche, dello sport che praticava, di tenere in ordine la sua stanza e così via dicendo. La mia risposta era stata:

Da piccoli, piccoli impegni

Questo non è ancora niente! Vedrai come, con l’aumento dell’età, cresceranno in maniera più che proporzionale gli impegni di cui dovrai imparare a scegliere le priorità. Ma l’esperienza ti aiuterà e, col passare del tempo, ti sembrerà più facile affrontare,  anche contemporaneamente, una moltitudine di impegni che da piccolo ti sarebbero sembrati una montagna.”

Ai primi livelli scolastici la vita è scandita dalle lezioni in classe, dai compiti a casa, dai fine settimana e dalle vacanze. Poi inizi ad affrontare i compiti in classe, aumentano le opportunità di uscita con gli amici, per lo sport, per il divertimento ed altro; la tua vita ha ancora dei ritmi abbastanza vincolanti che ben presto tendono a scemare, dopo la maturità e con l’inizio degli studi universitari. Nella maggior parte dei casi, la tua capacità di organizzazione, nel contemperare lo svolgimento di più impegni, comincia ad essere messa alla prova: non tutti i corsi prevedono l’obbligo di frequenza, ci sono sì le date vincolanti degli esami ma …. se salti una sessione, sosterrai l’esame in un’altra finendo presto fuori corso.

Con la laurea pensiamo che i nostri affanni siano finiti …. siamo solo all’inizio!

Finiti gli studi e trovato un impiego, la vita lavorativa innalza di colpo l’asticella della tua capacità organizzativa, hai degli orari decisamente più vincolanti di quelli universitari, devi spesso cambiare le tue abitudini familiari e le modalità di frequentazione delle tue amicizie; le cose si complicano enormemente quando decidi di condividere la tua vita con un partner … poi arrivano i figli e le  immodificabili 24 ore di una giornata sembrano non bastarti più. Per fortuna, senza che ce ne accorgiamo, col crescere degli impegni aumentano anche età ed esperienza, e con queste la capacità di affrontare tutti gli impegni cui dobbiamo attendere, anche se il tempo resta “tiranno”.

L’orologio scandisce il ritmo della nostra vita quotidiana

Focalizzando pertanto l’attenzione in ambito lavorativo, quello in cui la maggior parte della popolazione adulta dedica la parte preponderante del tempo a disposizione dal lunedi’ al venerdi e, talvolta, anche nel fine settimana o di notte. Una parte importante della vita di ciascuno di noi che non possiamo permetterci di subire passivamente, giorno dopo giorno, assorbiti da incombenze che ci danno sempre la sensazione di non avere tempo per fare altro. Risulta qui difficile tener conto delle tante, variegate, condizioni lavorative connesse alla specifica professione esercitata, al luogo di lavoro, alla necessità di spostamento per raggiungere da casa l’ufficio, la fabbrica, la scuola per i docenti, lôspedale per medici e infermieri …… Molte attività impongono poi dei ritmi prefissati, delle attività da svolgere in tempi predefiniti, Mi corre quindi l’obbligo di precisare che la presente esposizione, seppure presenta degli aspetti di interesse generale, vuole essere indirizzata in modo particolare a coloro i quali svolgono mansioni d’ufficio, sia in presenza che in remoto, con la facoltà di organizzare con un minimo di automia il proprio tempo, per l’esecuzione delle pratiche loro affidate.

La possibile soluzione

Come risolvere un problema apparentemente insolubile? La soluzione non è semplice ma alla portata di tutti. Possiamo chiamarla in vari modi: organizzazione, pianificazione, programmazione … e chi più ne sa più ne metta! Il comune denominatore, stante il limitato numero di ore disponibili (uguale per tutti) nell’arco di una giornata, è saper dare le giuste priorità ad ognuna delle attività che dobbiamo svolgere. Le metodiche sono certamente piu’ d’una, non saprei dire qual’è la migliore di tutte ma cio’ che ritengo importante è trovare quella che si confà maggiormente alle nostre attitudini. Personalmente utilizzo con assiduità la matrice di Eisenhower di cui ho trattato di recente a proposito dell’home working. Il risultato che dobbiamo cercare di raggiungere, dovrà soddisfare molte e possibilmente tutte quelle cui giornalmente abbiamo deciso di dare la priorità:

Se è vero che l’orologio scandisce il nostro ritmo quotidiano, tanto da condizionarci in ogni attività, lo è altrettanto la sensazione di benessere che puo’ darci l’essere riusciti a svolgere tutti i nostri compiti senza particolari affanni. Se riuscirete ad organizzare preventivamente i vari impegni della giornata, vi stupirete di riuscire addirittura ad avere del tempo che vi avanza per rilassarvi, leggendo il libro che avevate lasciato in sospeso o stando semplicemente seduti in poltrona a pensare. Non programmare nulla vi darà, al contrario, una costante sensazione di confusione e di incapacità di riuscire a fare tutto.

Nessuno di noi è perfetto ma, pur facendo parte della larga schiera di coloro che talvolta non riescono a “fare tutto” o impiegando piu’ tempo di quanto sarebbe stato prevedibile per svolgere una determinata attività, ho sempre avuto una forte allergia per coloro che giustificano le loro manchevolezze in ambito lavorativo, con le scuse piu’ varie e, in alcuni casi, assolutamente inaccettabili:

  • avevo qualcosa di piu’ importante da fare
  • a causa delle pratiche in scadenza non mi è stato possibile fare altro
  • qualcuno mi ha chiesto di fare altro con urgenza e non ce l’ho fatta
  • avevo degli impegni personali e ho dovuto occuparmi di quelli
  • tanto non c’era un termine improrogabile e lo posso quindi rimandare ad un altro giorno, oppure
  • la scadenza è vicina, il lavoro non è ancora pronto ma possiamo chiedere una proroga
  • non posso perdere tempo a fare questo lavoro, oppure
  • non ho avuto abbastanza tempo, mi servono piu’ ore
  • non sapevo bene come svolgere questo compito ma non ho voluto chiedere a nessuno
  • potevo farmi aiutare dai colleghi ma preferisco fare tutto da me, perché come faccio bene le cose io non le fa nessuno
  • mi sono subentrati degli imprevisti, ho avuto un’emergenza

La lista potrebbe essere ancora piu’ lunga ma gli esempi fatti sono già tanti, e meriterebbero ciascuno un approfondimento per capire quali siano le cause effettive della mancata, o ritardata, esecuzione di un’attività ed individuare le possibili soluzioni. Questo potrebbe essere oggetto di un’ulteriore trattazione da fare in seguito.

Imprevisti

Qualcuno starà già pensando: “bravo, facile a dirsi, ma se ti arriva qualcosa di imprevisto?”. Gli imprevisti sono purtroppo all’ordine del giorno, sarebbe troppo facile se tutto filasse sempre liscio andandosi ad incastrare nelle varie casellini di quello che avevamo previsto di fare; purtroppo sappiamo tutti benissimo che non è cosi’: l’imprevisto è sempre in agguato dietro l’angolo, e ci raggiunge quanto meno ce lo aspettiamo. Dal piu’ banale causato dalla lentezza del traffico se viaggiamo in auto, piuttosto che il rallentamento del treno o altro se usiamo i mezzi pubblici; la febbre del bambino in età scolastica che dobbiamo tenere a casa …. ma non sappiamo a chi affidarlo e le scadenze in ufficio che non possiamo disattendere. Quando, purtroppo, non ci accade anche qualcosa di piu’ grave e che richiederà la nostra priorità assoluta.

Non esistono formule o matrici per gestire cio’ che non è prevedibile, vale in tutte le situazioni e per tutti. La capacità di reagire ad ogni situazione imprevista è strettamente connessa con l’esperienza personale, con la maggiore o minore propensione a mantenere la calma senza farci sopraffare, perdendo la necessaria lucidità per affrontare quanto ci è improvvisamemnte caduto addosso. Non essendo un esperto in questo campo, non ho soluzioni preconfezionate da proporre, se non l’augurio che gli imprevisti siano sempre il minor numero possibile e che comunque siate sempre consapevoli della possibilità che si verifichino, senza sapere quando ne’ altrro. Il suggerimento è quindi di non pianificare mai i vostri impegni con ritmi troppo serrati, senza pause di recupero tra uno e l’altro che vi potranno sempre servire, sia per recuperare le forze, sia per gestire eventuali “sforamenti” di tempo.

Home working e organizzazione delle attività

In tempo di “coronavirus” è letteralmente esplosa la diffusione del lavoro in remoto, spesso definito a mio avviso impropriamente smart working o, in italiano, lavoro agile. Sarebbe più opportuno infatti parlare di home working o lavoro remoto; nel mondo anglofono infatti, parlando di lavoro, l’aggettivo “smart” viene usato prevalentemente in contrapposizione ad “hard” con una molteplicità di significati, quali ad esempio:

  • smart working inteso come lavoro di carattere mentale, contrapposto ad hard working come lavoro fisico, oppure
  • smart nell’accezione di un lavoro fatto senza particolari sforzi, nei tempi e con le modalità programmate, in contrapposizione allo stesso lavoro fatto senza pianificazione e con sforzo sproporzionato rispetto al risultato, definito hard
  • hard nel senso di lavoro noioso, svolto in modo e con mezzi tradizionali, rispetto a smart per definire un lavoro svolto con metologie e mezzi moderni, innovativi, preferibilmente attraverso l’uso di personal computer , tablet e smartphone.

L’home working è senza dubbio una modalità lavorativa già ampiamente diffusa, in particolare nel settore informatico ma più in generale in tutte le imprese di servizi. Mentre trovandoci in ufficio siamo quasi tutti abituati ad un’adeguata gestione delle attività, talvolta organizzate in modo autonomo o più spesso imposte dalle procedure aziendali e dal procedere del lavoro stesso, in casa potremmo essere meno propensi ad organizzarci, trasformando così, seppure inconsapevolmente, quello che potrebbe effettivamente essere uno smart working in hard working.

Queste brevi note sono rivolte in particolare a coloro che si sono trovati improvvisamente a dover lavorare da casa, in isolamento forzato, tramite un collegamento in tempo reale con il proprio ufficio, con un virtual desktop, o anche semplicemente con un’operatività differita: predisposizione del proprio lavoro in formato elettronico (testi, fogli elettronici, presentazioni o altro) ed invio tramite email. Ma non sono solo costoro ad essere i potenziali destinatari bensì anche tutti coloro che in ufficio, e non solo a casa, si trovano quotidianamente confrontati con una serie di incombenze, lavorative e non, di cui sono chiamati ad occuparsi ponendosi il consueto interrogativo: da dove mi conviene iniziare?

La matrice di Eisenhower

Quella che vi voglio presentare oggi prende il nome dal Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower che pare abbia affermato: “La decisione più urgente è raramente la più importante”.

Dopo aver individuato la lista delle cose da fare prendiamo un foglio di carta e suddividiamolo, anche semplicemente piegandolo, in quattro parti dove andremo a collocare le nostre attività secondo lo schema che vi riporto:

Non è importante seguire un ordine preciso nella collocazione, si tratta di una scelta molto soggettiva; è però necessario tenere presente che non stiamo predisponendo una matrice incisa sul marmo e per questo immutabile nel tempo. Man mano che alcune attività si esauriscono, così come altre se ne aggiungono, ecco che dobbiamo aggiornare la nostra matrice e, se necessario, ridisegnarla su un nuovo foglio giorno dopo giorno. In fase di aggiornamento teniamo presente che la nostra classificazione sull’importanza ed urgenza di una determinata attività può aver subito delle modifiche e andremo quindi a modificarne la collocazione.

Qualcuno di noi andrà in ordine rigorosamente sequenziale, partendo dalla propria lista delle cose da fare, preferibilmente scritta ma che per chi ha buona memoria può essere anche mnemonica. Io consiglio sempre di scrivere tutto ciò che si individua come attività da svolgere, non solo per evitare dimenticanze ma anche per scaricare la mente che resta così più libera di concentrarsi sullo svolgimento di una specifica azione piuttosto che sull’elenco di quelle che restano ancora da fare.

Altri seguiranno un proprio schema, connesso o meno, alla collocazione che andrà a dare ad ogni specifica attività sulla matrice. Personalmente preferisco partire dalle attività che andrò a collocare nel quadrante in basso a sinistra della matrice di Eisenhower, ossia tutto ciò che essendo non importante e non urgente può essere rimandato; a seguire seleziono le attività che pur rivestendo carattere di importanza non considero per il momento urgenti. Tutto ciò che pur essendo urgente non è, a mio giudizio, particolarmente importante, ed ho la possibilità di delegarlo ad altri, verrà collocato nel quadrante in basso a destra: collocherò comunque in tal modo anche le attività che non mi è possibile delegare ad altri e che semplicemente andrò ad affrontare dopo quelle che avrò classificato “importanti ed urgenti”.

Lo sviluppo della matrice

Va da sé quindi che si tratta di effettuare una classificazione iniziale delle attività che dobbiamo svolgere, sia quando andiamo a predisporre una prima volta la nostra matrice sia nelle riedizioni ex novo, mentre provvederemo a delle iterazioni successive tra un’edizione e l’altra che dovrebbero idealmente seguire la sequenza qui a fianco indicata: completato con immediatezza ciò che abbiamo classificato urgente ed importante (1), passeremo a verificare che altri abbiano svolto ciò che abbiamo classificato come urgente ma non importante (2) o, qualora non si abbia la possibilità di delegare, provvederemo noi stessi a svolgere questa attività; ecco quindi che passeremo ad urgente ciò che era solo importante (3)e da ultimo, sempre che non siano intervenute tra una fase e l’altra dello svolgimento altre attività più importanti e/o urgenti, ecco che ci dedicheremo a ciò che avevamo deciso di fare dopo (4).

Quanto esposto vi potrà apparire banale ma vi assicuro che seguendo metodicamente la predisposizione e sviluppo di questa matrice, anche sulla base delle vostre esperienze e capacità professionali e personali, otterrete dei risultati insperati soprattutto in fase di lavoro in remoto … e non chiamatelo sempre, solo smart working. Provare per credere!

Luigi Rusconi – Ragioniere Commercialista ODCEC di Milano ¦ Revisore Legale ¦ Member of CFE Tax Advisers Europe ¦ Member of the Pen – Professional Experts Network

Chi di noi non si è mai trovato di fronte al dilemma di come risolvere un conflitto?


Alcuni di noi con maggiore frequenza ed altri meno ci troviamo ad affrontare dei conflitti che possono insorgere, per le piu’ svariate ragioni, sia in ambito professionale che familiare. Spesso sono conflitti in cui veniamo coinvolti mentre talvolta ne siamo noi stessi l’origine. In tutti i casi da come reagiamo sia noi che le nostre controparti dipende l’esito del conflitto. In linea di massima possiamo ipotizzare vi siano due modalità principali di approccio, una emotiva ed l’altra razionale.

Al palesarsi di un conflitto emotivamente possiamo essere portati a:

1. FUGGIRE – se entrambe le parti fuggono, il conflitto viene abbandonato all’origine ma nessuno dei due ne esce vincente: questa è una situazione lose-lose

2. COMBATTERE – chi affronta in modo combattivo un conflitto ha una sola aspettativa, quella di vincere, ed alla fine una delle due parti avrà il sopravvento: siamo in una situazione win-lose.

3. RINUNCIARE – chi decide di abbandonare il conflitto, desistendo dal combattere, si viene a trovare nella posizione di perdente lasciando all’altra parte quella di vincente: è questa una situazione lose-win.

Nel momento in cui cerchiamo di affrontare razionalmente il conflitto, possiamo ipotizzare si verifichino le seguenti situazioni:

4. EVITARE LE RESPONSABILITA’ – coloro che si sentono sopraffatti dalla eventualità di gestire direttamente il conflitto tendono a delegarne la risoluzione a terzi, generalmente un’autorità o qualcuno che si reputi al disopra delle parti: questa terza parte risolve il conflitto ma non necessariamente con saggezza o nell’interesse del delegante. Ognuna delle parti si trova a dover fare un passo indietro: ci troviamo di nuovo in una situazione lose-lose.

5. TROVARE UN COMPROMESSO – dipende come questa soluzione viene percepita accettabile dalle parti. Pur non trattandosi spesso della soluzione ideale, puo’ essere ritenuta ragionevole nella specifica circostanza: siamo in un’ipotesi win-lose/win-lose.

6. RAGGIUNGERE UNA SOLUZIONE CONDIVISA – il consenso nel trovare tale tipo di soluzione è basato su una terza via sviluppata congiuntamente, una soluzione del tutto nuova che diversamente dal compromesso usualmente lascia entrambe le parti soddisfatte: è una situazione win-win.

Inchiostro si pentole no

Dal racconto di un amico che in questi giorni in #Italia è andato a fare la spesa in un supermercato, si ha la conferma non solo della incapacità totale del governo del paese a reggere il confronto con l’emergenza sanitaria #covid19 bensi’ di una volontà perversa di rendere la vita inutilmente piu’ difficile, penalizzando nel contempo alcuni settori economici e privilegiandone altri.

“Dopo l’ultima spesa, fatta ormai due settimane fa, mi accingo bardato come un alieno per non rischiare di essere infettato – o di infettare a mia volte un altro potendo essere un cosiddetto “asintomatico” senza nemmeno saperlo – ad entrare al supermercato dopo aver fatto un’oretta buona di coda: la guardia all’ingresso mi scruta attentamente e, constatato che ho guanti di lattice alle mani, sacchetti di plastica ai piedi legati al difuori dei pantaloni all’altezza dei polpacci, cappello da addetto agli alimentari fermato con le forcine tra i capelli e … doppia mascherina, mi fa avanzare e sollevo per qualche istante la visiera in acetato che mi sono costruito con la copertina di un dossier che non mi serviva piu’ al fine di farmi misurare la febbre; beep! Tutto a posto, procedo all’ingresso e mi munisco di un capiente carrello. In famiglia siamo in tanti e la lista degli aimentari piuttosto estesa.

Lo spazio all’interno è piuttosto ampio e anche se l’altoparlante del supermercato diffonde una serie di istruzioni, tra cui quella di limitarsi ad un componente solo per famiglia per ciascun carrello e di entrare nei corridoi uno alla volta, vedo naturalmente coppiette che corrono a destra e manca per riempire il proprio, abbandonato in mezzo al corridoio e mi ci fiondo alla ricerca di quanto mi serve. Cerco di fare in fretta anche perchè dopo l’attesa all’ingresso sono già piuttosto provato ed il caldo all’interno acuisce la mia sensazione di disagio; sto sudando e la visiera trasparente è già tutta appannata e faccio fatica a leggere la lista della spesa. Finalmente, grazie anche al fatto che la mia mogliettina ha vuto l’accortezza di elencare tutti gli acquisti necessari già tenendo conto della corretta sequenza degli scaffali, mi rendo conto che ho depennato quasi tutto: mi mancano solo la spazzola per lavare i piatti, il coltellino per spalmare il burro di cui ho rotto ieri il manico di plastica e l’inchiostro per la stampante che ho da qualche giorno esaurito dopo la stampa dell’ennesima versione della famosa autocertificazione.

Shopping cart in a grocery store

Entro nel corridoio dove vedo degli ampi scaffali con pentolame e stoviglie di ogni genere e, appesi in alto, i mie oggetti: la spazzola e il coltello spalmaburro. E’ fatta direte voi, sei arrivato alla fine della tua tortura, ma niente affato…non è cosi’….certo perchè tutta la sezione è sbarrata con del nastro bianco e rosso e disseminata di cartelli che avvisano del fatto che la merce esposta non è vendibile! Come non è vendibile? Se la merce è li e io sono qui apposta per comprarla, mi serve, non posso continuare a lavare i piatti solo con la spugnetta e i miei figli si lamentano che i coltelli normali non vanno bene per spalmare la nutella perchè sono troppo stretti. Chiedo ad un addetto che sta rimpiazzando gli articoli alimentari nello scaffale opposto, dove ci sono solo alimentari, e mi spiega che sono le disposizioni anti-covid.

Ma l’inchiostro per la mia stampante riusciro’ a trovarlo?

Con un po’ di ansia, la visiera sempre piu’ appannata e le mani che ormai sguazzano nel sudore all’interno dei guanti di lattice e il carrello pieno già fino ben oltre il limite di carico, raggiungo l’area degli inchiostri per stampanti e – con mio grande stupore e fortemente rincuorato – constato che non è sbarrato dal nastro come quello del pentolame; controllo con accuratezza che non vi siano cartelli che segnalano l’invendibilità dei prodotti li’ esposti: nulla. Vado quindi alla ricerca di quanto mi necessita e, per mia fortuna, trovo l’ultima confezione sia dell’inchiostro nero che di quello a colori, adatti per il mio modello di stampante. Sono salvo! Potro’ stampare tutte le ultime versioni della famigerata autocertificazione che il ministero degll’interno si inventerà a seguito dell’ennesimo DPCM del governicchio Conte! Whaooooo, sono cosi’ preso dall’euforia di avere trovato l’inchiostro che mi sto già facendo una ragione del fatto di non poter acquiustare la spazzola per lavare i piatti ed il coltellino spalmaburro e poi, la giustificazione per moglie e figli è belle che pronta: c’erano ma era vietato venderli!”

Conclusioni

Dal racconto del mio amico si possono trarre varie conclusioni; alcune le lascero’ all’attento lettore che, vivendo in Italia e subendo analoghe limitazioni, non mancherà di immagnare sè stesso in un’analoga situazione. Permettetemi sottoporvi comunque alcune riflessioni:

  • considerato che il supermercato dispone di spazi abbastanza ampi da consentire un agevole ingresso di piu’ persone contemporaneamente (un superstore, giusto per darvi un’idea, ha una superficie di vendita tra i 4.000 e i 5.000 metri quadri) le quali, dopo un’attesa in coda spesso di non breve durata, potrebbero avere la necessità di acquistare anche prodotti non alimentari senza doversi recare in altri negozi, fare ulteriori code, correre e far correre ulteriori rischi di contagio e magari rischiare di imbattersi in qualche solerte ed intransigente paladino dei DPCM conteschi, che gli appiopperà una bella multa perché non gli piace come è stata redatta l’autocertificazione, perché non devono poter effettuare l’acquisto di una pentola, di una scodella, di un piatto o di un bicchiere che si sono rotti?
  • evito volutamente di entrare eccessivamente nel merito dell’evidente aspetto economico della perdita di guadagno per il negozio, conseguente la mancata vendita, e della minore disponibilità finanziaria che inciderà sia sul pagamento del personale dipendente che dei propri fornitori
  • ma vogliamo considerare l’altro lato della medaglia? la mancata vendita comporta un mancato approvvigionamento presso il fornitore, un grossista o forse anche direttamente il fabbricante delle pentole, dei piatti, delle scodelle, dei bicchieri … della spazzola per lavare i piatti e del coltellino per spalmare il burro che voleva acquistare il mio amico; ecco quindi che la mancata vendita del supermercato si ripercuote con effetto negativo su tutta la filiera di approvvigionamento dei prodotti: il commerciante o il produttore vendendo di meno perderanno fatturato e non disporranno della liquidità necessaria per far fronte ai propri pagamenti a favore del proprio personale dipendente, dei fornitori nonché dei trasportatori che, a loro volta, perderanno fatturato ed introiti di denaro eccetera eccetera …
  • ma l’inchiostro per stampanti si’, ed anche la carta, indispensabili per chi disponga di personal computer in casa per stampare l’AUTOCERTIFICAZIONE, documento ancora piu importante dei soldi necessari per pagare la spesa, per poter uscire dalla propria abitazione e, potendo ovviamente giustificare un qualche stato di necessità come ad esempio fare la spesa per dar da mangiare alla propria famiglia, per disporre di un lasciapassare come quello che scrutavano attentamente i soldati nazisti a chi si aggirava alla ricerca di cibo o dei propri parenti ed amici in città ancora afflitte dalle ultime propaggini di una guerra che in Europa sarebbe finita, secondo gli storici, proprio oggi l’8 maggio 1945.

Quando finirà la guerra al “coronavirus” chi pagherà per tutto questo

E quando sarà finita la guerra al Covid-19, al Corona virus, al virsu sdella Sars-CoV-2 o come altro voglia mo chiamare questo invisibile ma potente aggressore ci sarà qualcuno che pagherà per tutto questo? Il Popolo Italiano saprà prima o poi rialzare la testa e porre fine ai soprusi di un governicchio che ha contribuito, e sta tuttora contribuendo, con la sua inettitudine a causare il contagio di centinaia di migliaia di persone e la morte di decine di migliaia di persone? Verranno mandati a casa un ministro della sanità ed i dirigenti tutti che non sono stati capaci di mettere in pratica per tempo quanto previsto da un piano pandemico che prevedeva precise azioni da intraprendere, che non sono state intraprese a tempo debito? Verranno adeguatamente valutati e giudicati nelle sedi opportune gli atti sconsiderati di coloro che hanno contribuito, e stanno contribuendo, allo sfacelo economico e finanziario della nazione Italiana, alla disoccupazione di milioni di lavoratori che per gli anni a venire si vedranno costretti a richiedere il reddito di cittadinanza?

2019 un intero anno di pausa sul blog … e ora l’emergenza COVID-19

Un anno sabbatico? No, un anno di intenso lavoro che non ha lasciato spazio a commenti su questo blog anche se le notizie da commentare sarebbero state davvero tante, a cominciare dalla politica italiana con ben due governi che si sono avvicendati nel corso del 2019.

Devo ammettere che oltre all’impegno lavorativo cio’ che mi ha fortemente demotivato dal continuare a scrivere è stata soprattutto l’involuzione politica italiana, il trasformismo di certi personaggi spuntati dal nulla come funghi al sole dopo una giornata di pioggia. Sono stati l’inconsistenza di una parte della maggioranza divenuta opposizione e dell’opposizione divenuta magicamente maggioranza senza piu’ un adeguato riscontro nel consenso degli elettori. Ma è stata soprattutto l’apatia indotta dalla mancanza di reattività di buona parte del popolo italiano a farmi desistere piu’ e piu’ volte dall’esternare le mie opinioni.

Ho di conseguenza diradato anche la mia presenza sui social, con interventi sporadici dettati piu’ dalla curiosità di qualche post altrui che da uno specifico interesse suscitato in me dagli eventi della vita pubblica nazionale o internazionale.

Ed eccoci al 2020, un anno iniziato sotto i peggiori auspici con un’epidemia virale che a gennaio sembrava circoscritta al solo luogo di origine, la Cina, e ora vede gli Stati Uniti d’America di colpo come la nazione col il maggior numero di contagiati: ben 104.837 in base agli ultimi dati disponibili sul sito della Johns Hopkins University

Pur se con una diluizione nel tempo i vari paesi attaccati dal contagio presentano continui incrementi sia dei nuovi infetti che, purtroppo, dei decessi. Una situazione presa da tutti i governi eccessivamente con leggerezza all’inizio, quasi come se in un mondo globalizzato e caratterizzato da un’estrema mobilità delle persone, i confini nazionali potessero costituire delle barriere alla diffusione di questo ormai famigerato virus denominato dai piu’ COVID-19 e da altri SAR-COV-2. Tutti a partire all’organizzazione mondiale della sanità hanno troppo a lungo pensato che quella che era all’inizio un’epidemia, seppur importante, non si diffondesse piu’ di tanto e, soprattutto, non lo facesse con tale velocità da dover correre presto ai ripari dichiarando la pandemia.

Gli interventi dell’Organizzazione Mondiale della sanità

Una delle prime news concerneti il nuovo coronavirus presenti sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) risale allo scorso 13 gennaio 2020 quando, citando il caso di una persona risultata infetta in Tailandia dopo il suo rientro dalla Cina, precisamente dalla ormai tristemente nota città di Wuhan nella provincia di Hubei, segnalava che il caso risultava già noto alle autorità locali dall’8 di gennaio 2020! Reiterando la necessità che in Cina si proseguisse con l’identificazione della antura del contagio, la notizia si concludeva con la precisazione che il direttore generale del WHO Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus avrebbe provveduto a consultare il comitato di emergenza dell’ente, convocando a breve una riunione dello stesso.

Dobbiamo attendere fino al 28 gennaio 2020 per leggere degli aggiornamenti in merito alla battaglia sul coronavirus, in atto al momento solo in Cina, a seguito dell’incontro a Pechino del direttore generale del WHO Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus con il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. In tale data si parlava si olo 4.500 persone infettate a livello globale, di cui la maggior parte sul territorio CInese: oggi siamo arrivati ad oltre 600.000 contagiati nel mondo! Il comunicato si concludeva con l’annuncio di una riconvocazione del comitato di emergenza e di nuove notizie che sarebbero state fornite a breve.

Il Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus (WHO) incontra a Pechino il President cinese Xi Jinping

Sempre il WHO avvisava già in data 5 febbraio 2020 della necessità di almeno 675 milioni di dollari per proteggere i paesi oggetto di attacco dal nuovo virus (nCoV-2019), comunicando l’avvio di un piano strategico per il periodo Febbraio-Aprile 2020 con l’obiettivo di limitare la trasmissione persona-a-persona del virus, identificare, isolare e curare i pazienti tempestivamente, comunicare i rischi ed altre attività connesse. Il successivo 6 febbraio, poi ancora il 13 febbraio fino a giungere ai giorni nostri lo scorso 26 marzo 2020 con l’invito del Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale del WHO rivolto al G20 per combattere uniti il COVID-19.

E in Italia, quali sono stati gli interventi del governo?

Nel prossimo post cerchero’ di sintetizzare quanto è stato fatto, ed anche quanto non è stato fatto con sufficiente tempestività o, ancora a tutt’oggi, non è stato per niente fatto. Il tutto non per mero spirito di polemica bensi’ come pungolo per dei politici ancora troppo inerti, confusi, che non danno sicurezze ad una nazione in cui si sono già verificati episodi di assalto ai supermercati e alle banche: e non mi si venga a dire che sono solo “pilotati” dagli ambienti della malavita perché ci sono persone senza mezzi di sostentamento che sicuramente già prima non avevano di che vivere, ma che cercavano di sopravvivere mentre oggi, avendo di fronte a loro prospettive ancora peggiori e soprattutto incerta determinazione non esiteranno a fare di tutto pur di poter sfamare i propri figli, di garantire a sè stessi e alle proprie famiglie il sacrosanto diritto di esserci ancora un domani che oggi nessuno al mondo ci puo’ garantire.

Le grandi religioni del mondo -Cristiani ancora in maggioranza

Il grafico evidenzia, sulla base delle stime riportate da varie fonti, la percentuale di fedeli delle principali religioni rispetto alla popolazione mondiale nonché quella di chi non si dichiara credente di una delle religioni “classiche” (atei, agnostici o altro).

Questa invece la situazione nel nostro paese che evidenzia una preponderante presenza di Cristiani con il 71% e solo un 3% di fedeli dell’Islam per cui non si comprende questo affanno di sinistre e grillini a voler sopprimere a tutti i costi le esternazioni di carattere religioso con l’ipocrita scusa di “non voler offendere la sensibilità” di tale minoranza; si veda per tutti l’ultimo caso salito alla ribalta delle cronache della decisione adottata dal municipio romano XIII, a guida M5S, di vietare la consueta S. Messa Natalizia volendola sostituire con un “incontro interreligioso”!

Cristianesimo

I fedeli di questa religione sono stimati:

  • tra 2,2 e 2,4 miliardi nel mondo pari a circa il 32% della popolazione mondiale
  • in circa il 71,4% della popolazione italiana; il 66,7% cattolici

Islamismo

I fedeli di questa religione sono stimati:

  • tra 1,5 e 1,8 miliardi nel mondo pari a circa il 21% della popolazione mondiale
  • in circa il 3,1% della popolazione italiana

Induismo

I fedeli di questa religione sono stimati:

  • tra 1,0 e 1,1 miliardi nel mondo pari a circa il 14% della popolazione mondiale
  • in circa lo 0,3% della popolazione italiana

 

Religione tradizionale cinese (Confucianesimo, Taoismo, Scintoismo)

I fedeli di questa religione sono stimati:

  • tra 754 mioni e 1 miliardo nel mondo pari a circa il 7% della popolazione mondiale

 

Buddhismo

I fedeli di questa religione sono stimati:

  • tra 488 e 576 milioni nel mondo pari a circa il 6% della popolazione mondiale
  • in circa lo 0,4% della popolazione italiana

 

Fonti: www.cinquecosebelle.it , wikipedia

Fermiamo questa follia anti-cristiana

I grillini cancellano la Messa di Natale. Ecco con cosa vogliono sostituirla. Cosi’ titola Libero online

Con il Santo Natale si rinnova l’evento salvifico della venuta del Messia che ha dato origine alla Cristianità e cristiane sono e restano le radici dell’Europa!

Sostituire la S. Messa di Natale con un incontro interreligioso dimostra prima ancora che la grettitudine del M5S l’ignoranza assoluta dei suoi componenti: mi si spieghi di cos’altro tratterebbero in un siffatto incontro soggetti “non cristiani” visto che la ricorrenza è squisitamente “cristiana”?

La citazione della Costituzione, Art. 8 è faziosamente incompleta; il testo integrale è quello che segue:

” Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

Da notare la citazione non casuale della religione cattolica le cui rappresenatnze hanno nell’art. 7 che precede una precisa normativa di riferimento, atteso il riconoscimento che gli statuti che ne regolano l’operatività non contrastano con l’ordinamento giuridico italiano.

Senza entrare nel merito di tutte le altre confessioni basti notare la natura violenta, discriminatoria e terroristica di quella parte dell’Islam che propugna la jihad: non risultano né potrebbero legittimamanete esserci intese con le rappresentanze di costoro che, se individuati, sono soggetti ad espulsione dal territorio dello Stato. Perché poi dovrebbero sentirsi offesi solo i musulmani dal festeggiare il S. Natale e non già anche gli ebrei, piuttosto che i buddisti o gli induisti? Sta di fatto che tutti coloro che si sono recati e si recano volontariamente in Italia be sanno quale sia la confessione religiosa maggiormente diffusa, ossia quella cristiana cattolica, e rappresentando una sparuta minoranza non hanno maggiori diritti di altri né di affermare la supremazia della propria fede precaricato discapito di quella locale e nemmeno di sentirsi offesi dalle manifestazioni della stessa.

Queste le statistiche più recenti:

  • Non religiosi/altro (24,5%).
  •  Islam (3,1%).
  • Della popolazione totale residente nella penisola, il 71.4% sono cristiani, di cui il 66.7% cattolici.