Fine del mese …… fine della quarantena a Londra!

Oggi 31 maggio non è solo l’ultimo giorno del mese per me, con oggi termina il mio periodo di quarantena qui a Londra e da domani potrò nuovamente uscire fuori! Sinora ho visto il mondo da un balcone, con giorni grigi e piovosi in classico stile british e giornate soleggiate come ieri. Il traffico è molto scarso perché è un giorno festivo ma in precedenza ho visto dalla mia posizione al sesto piano di un moderno palazzo di un nuovo quartiere residenziale sulle rive del Tamigi, una nazione che si sta riprendendo con molta velocità, i media locali hanno altri argomenti di cui trattare diversi dal Covid che invece continua ad impazzare su TV e giornali vari in Italia. Ho visto gente che senza inutili ammassamenti ha ricominciato il percorso di una vita normale interrotta ormai più di un anno fa dall’arrivo della pandemia, che ha comportato lockdown in certi periodi molto più severi di quelli italiani ma anche un programma di vaccinazioni che ha galoppato senza eccessive polemiche ed inutili dissertazioni, come avvenuto sull’italico fronte, sulla bontà o negatività di questo o quel vaccino. Ho visto e vedo persone che si muovono, come peraltro avevano iniziato a fare da tempo, senza mascherine ….. soprattutto se da soli e all’aria aperta.

Vedo innanzitutto una nazione che va avanti a testa alta, una nazione ed un popolo che si stanno riprendendo appieno la liberta’ dai vincoli e dalle pericolose lungaggini degli euro- burocrati e procedono spediti sulla via del recupero economico e sociale, senza necessita’ di alcun farraginoso Recovery Plan europeo, diversamente da quanto si apprende dalle notizie spesso e volentieri inesatte, sciorinate con frequenza da molti media nostrani, incluse testate finanziarie di chiara fama, al solo fine di non lasciar trasparire i lati positivi della Brexit, che chi ha occhi ben aperti e visione di medio e lungo periodo puo’ ben vedere e che in parte sono gia’ ora tangibili,

Come ben sapete, ho sofferto il contagio di questo terribile virus Sars-Cov-2 con ricovero per l’intero mese di novembre 2020 in terapia subintensiva e ancora adesso, seppure in misura gradualmente sempre più ridotta, ne sto soffrendo le conseguenze. Malgrado’ ciò ho accettato di buon grado di sottopormi ad un test prima della partenza e a due successivi, il giorno 2 ed il giorno 8, durante il mio auto isolamento pur nella consapevolezza che la ricerca degli anticorpi IgM della malattia avrebbero dato esito negativo. Ho tuttora, a distanza di sei mesi, un titolo molto elevato di anticorpi IgG che combattono l’ingresso del virus che provoca il Covid-19; da quanto ho potuto appurare sinora, dalla lettura non solo dei media bensì anche di riviste scientifiche, che la loro entità supera di molto anche i valori degli anticorpi che si sviluppano nei vaccinati, indipendentemente dal vaccino somministrato e che talvolta risultano persino assenti. Cercando di approfittare di questa ulteriore permanenza forzata ho recuperato molto arretrato, lavorando in remoto sui server virtuali, tramite i quali svolgo d’abitudine gran parte della mia attività e mi consentono di essere operativo indipendentemente dalla località in cui mi trovo. I controlli, oltre ai test citati, devo dire che sono quasi ossessivi: ho ricevuto ben due visite di persona di un ispettore dell’NHS, il servizio sanitario nazionale britannico, ricevendo nel contempo almeno una chiamata telefonica di verifica della mia posizione e del mio stato di salute tutti i giorni. Tutto questo devo dire non mi ha assolutamente pesato, convinto come sono che se anche in Italia si fossero adottate o si adottassero almeno ora misure analoghe, si potrebbero evitare molte vittime inutili della pandemia. Che cosa avviene invece? Con la scusa del turismo che si deve riprendere si apre a tutti, senza contare l’endemico e grave problema dei porti aperti in cui, per assurdo, con le continue fughe di persone che ancorché’ inizialmente sottoposte a controlli sanitari divengono spesso di fatto irrintracciabili, si lascia aperta una nazione al continuo rischio di contagio e si subisce la beffa di altre nazioni che, come la Gran Bretagna continuano a mantenere l’Italia a ragione nella lista Amber, e quindi a rischio, mentre collocano ogni giorno nuovi paesi nella lista Green di quelli la cui provenienza non comporta dalla scorso 17 maggio restrizioni particolari. L’attuale lista verde comprende oggi i seguenti paesi: Australia , Brunei, Falkland Islands, Faroe Islands, Gibraltar, Iceland, Israel and Jerusalem, New Zealand, Portugal (including the Azores and Madeira), Singapore, South Georgia and South Sandwich Islands, St Helena, Ascension and Tristan da Cunha. (fonte: informazioni online del Governo)

Mi preme sottolineare a chiare lettere che quelle qui riportate sono informazioni che non possono essere prese in considerazione per valutazioni personali di tipo medico, le quali possono essere fatte esclusivamente da un medico … ed io, pur tenendomi adeguatamente informato per interesse diretto, non lo sono affatto. Non è altresì mia intenzione entrare nel merito di una querelle che dura dall’inizio della pandemia, sull’innumerevole schiera di giornalisti, politicanti ed anche di medici i quali, all’improvviso, si sono scoperti grandi tuttologi, dispensando informazioni e consigli spesso dissennati, causando taluni eccessivi allarmismi ed altri ingiustificato lassismo. Il Covid-19 è una malattia molto seria, lasciatelo ripetere a chi, come me, ne porta ancora i segni sia nel corpo che in particolare nella mente. Se sopravvivi, e non è cosa scontatissima con una malattia definita mortale, la tua vita cambia per sempre come purtroppo capita in tante occasioni anche per altri eventi. Cambia la scala dei valori che attribuisci alle cose e tornano a prevalere gli affetti personali, i parenti più stetti, gli amici …. le persone in generale.

AVVERTENZA IMPORTANTE

Le informazioni di questo articolo afferenti aspetti sanitari, ancorché raccolte con ragionevole cura, sono state riportate a mero scopo informativo e senza alcuna intenzione di divulgazione scientifica ne’ tantomeno medica. Quanto letto non può in nessun caso sostituire un adeguato parere professionale, espresso da parte di personale medico specializzato ed abilitato secondo le norme del paese di esercizio della propria attivita’, che rimane indispensabile.

E’ proprio necessario coniare termini misti con l’uso di due lingue diverse?

Oggi stavo rileggendo un interessante articolo sulla proposta di direttiva #EU #CSRD #CorporateSustainabilityReportingDirective tradotta in Italiano dall’autore” Direttiva Europea sul Reporting di Sostenibilità” e mi sono soffermato a riflettere sul vezzo, quasi esclusivamente italico, di mischiare termini di due lingue diverse.

Per restare in tema di #economiaverde #sostenibilità ed altro, ho avuto modo recentemente di stigmatizzare lo strano connubio contenuto nella norma sulle #SocietàBenefit! Non era meglio chiamarle in modo chiaro e semplice #SocietàdiBeneficio? Piu’ prosaicamente in America Latina sono state denominate “Sociedades Comerciales de Beneficio e Interés Colectivo” o Sociedades #BIC. In ogni caso era assolutamente auspicabile introdurre una legge che prevedesse questa forma giuridica e pertanto non posso che plaudire alla sua emanazione, indipendentemente dal goffo abbinamento. Sono tra l’altro assolutamente orientato alla prevalenza della sostanza sulla forma. Non resta quindi che attendere le prime “rendicontazioni …. pardon, i prossimi “reports”, per valutare come si stia concretizzando l’#impatto di questa inarrestabile trasformazione rispetto alle dichiarazioni d’intenti contenute nei nuovi statuti.

Sempre in tema di inappropriatezze linguistiche

Scorrendo i profili di Italiani su LinkedIn si scopre una tendenza sempre piu’ diffusa all’utilizzo della lingua Inglese in luogo di quella Italiana. Se proprio vogliamo farci conoscere in un ambito internazionale, facciamo almeno lo sforzo di creare il nostro profilo sia in Italiano che nell’altra lingua di nostro interesse. Se da un lato spesso i contenuti di quanto viene pubblicato risultano traducibili da un’applicazione contenuta in LinkedIn, non altrettanto vale per la nostra presentazione che necessita quindi di essere tradotta. Ammiro quei giovani, purtroppo in numero inferiore a quanto sarebbe auspicabile vedere, che avendo innanzitutto approfondito come si utilizza il social, ed essendosi fatti carico di fare il lavoro aggiuntivo che questo richiede, si definiscono ad esempio “Student of Business Administration”, “Green Economy Manager”, “Founder-CEO”,e via dicendo……… o addirittura dei mix del tipo “Fondatore e Partner”, “Lawyer presso Studio….”.

So che ci sono buone probabilita’ che questi miei commenti possano non risultare condivisibili. Pur essendo acclarato che l’inglese continui a contaminare le lingue di sempre piu’ paesi, questo ha sicuramente un senso nell’individuare una lingua comune di comunicazione tra persone che parlano idiomi diversi: altra cosa, mi scuserete, e’ presentarsi ai propri connazionali con definizioni in un’altra lingua o addirittura con termini misti! Sarebbe un po’ come se un Lawyer inglese di definisse Avvocato, oppure un Manager inserisse nel suo profilo il termine Dirigente; lo stesso dicasi ovviamente anche per altre lingue: pensate se un professionista francese al posto di Commissaire aux comptes scrivesse Sindaco ….. i suoi concittadini, traducendo alla lettera, penserebbe che fosse stato eletto Maire della sua cittadina.

Va da se’ comunque che alcune indicazioni proprie di una denominazione sociale o simili non vadano tradotte , se non nel caso in cui la traduzione ufficale sia gia’ presente nelle diverse lingue (es. European Central Bank – ECB | Banca Centrale Europea – BCE). Per tale ragione troverete naturalmente anche nel mio profilo dei nomi di associazioni, di cui sono membro, che non hanno una corrispondenza ufficiale in italiano.

Che dire poi di termini che, tradotti impropriamente in un lingua straniera, ci fanno scoprire che nel paese di origine hanno tutt’altro significato!

La “zuppa inglese” … in Italia

Ricordo un divertente episodio accaduto ormai parecchi anni fa, in un noto ristorante milanese con dei clienti inglesi, al momento del dessert il cameriere con sfoggio di un discreto accento propone un’ottima english soup: uno degli ospiti, piuttosto sorpreso, chiede chiarimenti e, appurato che si trattava di un dolce non riesce a trattenere un’esplosione di ilarita’ in cui coinvolge i propri colleghi. Con molta pazienza, in perfetto british style, spiega quindi al poveretto che lui di solito mangia una english soup a cena e che, trattandosi di un piatto salato non avrebbe mai immaginato che gli venisse proposto per dessert!

English soup

Questo insegna che occorre fare sempre molta attenzione alla traduzione di termini in una lingua diversa da quella in cui sono stati coniati . L’uso del termine nella lingua originale infatti, e’ spesso preferibile ad una traduzione pasticciata e talvolta fuorviante. Come nel caso citato infatti, se in Italia tutti capiscono di cosa parliamo, proponendo un dessert che qualcuno ai tempi ha deciso di chiamare zuppa inglese, traducendolo alla lettera con il nome di un piatto che nulla ha a che fare, rischieremmo di trovarci in imbarazzo dovendo spiegare di cosa si tratta. Immaginatevi se in un ristorante londinese qualcuno vi proponesse un give-me-up, scoprendo che effetti si tratta di un tiramisu’ che sarebbe stato meglio chiamare con il suo nome, considerando peraltro la sua notorieta’ ormai mondiale!


Ce la faro’ a finire tutte le cose che ho da fare oggi?

Una ventina di anni fa mio figlio più piccolo, che allora di anni ne aveva 11, mi confidava di avere qualche difficoltà nel gestire molte cose contemporaneamente. All’epoca i suoi impegni principali, come tutti i ragazzini di quell’età, consistevano innanzitutto nell’occuparsi delle attività scolastiche, dello sport che praticava, di tenere in ordine la sua stanza e così via dicendo. La mia risposta era stata:

Da piccoli, piccoli impegni

Questo non è ancora niente! Vedrai come, con l’aumento dell’età, cresceranno in maniera più che proporzionale gli impegni di cui dovrai imparare a scegliere le priorità. Ma l’esperienza ti aiuterà e, col passare del tempo, ti sembrerà più facile affrontare,  anche contemporaneamente, una moltitudine di impegni che da piccolo ti sarebbero sembrati una montagna.”

Ai primi livelli scolastici la vita è scandita dalle lezioni in classe, dai compiti a casa, dai fine settimana e dalle vacanze. Poi inizi ad affrontare i compiti in classe, aumentano le opportunità di uscita con gli amici, per lo sport, per il divertimento ed altro; la tua vita ha ancora dei ritmi abbastanza vincolanti che ben presto tendono a scemare, dopo la maturità e con l’inizio degli studi universitari. Nella maggior parte dei casi, la tua capacità di organizzazione, nel contemperare lo svolgimento di più impegni, comincia ad essere messa alla prova: non tutti i corsi prevedono l’obbligo di frequenza, ci sono sì le date vincolanti degli esami ma …. se salti una sessione, sosterrai l’esame in un’altra finendo presto fuori corso.

Con la laurea pensiamo che i nostri affanni siano finiti …. siamo solo all’inizio!

Finiti gli studi e trovato un impiego, la vita lavorativa innalza di colpo l’asticella della tua capacità organizzativa, hai degli orari decisamente più vincolanti di quelli universitari, devi spesso cambiare le tue abitudini familiari e le modalità di frequentazione delle tue amicizie; le cose si complicano enormemente quando decidi di condividere la tua vita con un partner … poi arrivano i figli e le  immodificabili 24 ore di una giornata sembrano non bastarti più. Per fortuna, senza che ce ne accorgiamo, col crescere degli impegni aumentano anche età ed esperienza, e con queste la capacità di affrontare tutti gli impegni cui dobbiamo attendere, anche se il tempo resta “tiranno”.

L’orologio scandisce il ritmo della nostra vita quotidiana

Focalizzando pertanto l’attenzione in ambito lavorativo, quello in cui la maggior parte della popolazione adulta dedica la parte preponderante del tempo a disposizione dal lunedi’ al venerdi e, talvolta, anche nel fine settimana o di notte. Una parte importante della vita di ciascuno di noi che non possiamo permetterci di subire passivamente, giorno dopo giorno, assorbiti da incombenze che ci danno sempre la sensazione di non avere tempo per fare altro. Risulta qui difficile tener conto delle tante, variegate, condizioni lavorative connesse alla specifica professione esercitata, al luogo di lavoro, alla necessità di spostamento per raggiungere da casa l’ufficio, la fabbrica, la scuola per i docenti, lôspedale per medici e infermieri …… Molte attività impongono poi dei ritmi prefissati, delle attività da svolgere in tempi predefiniti, Mi corre quindi l’obbligo di precisare che la presente esposizione, seppure presenta degli aspetti di interesse generale, vuole essere indirizzata in modo particolare a coloro i quali svolgono mansioni d’ufficio, sia in presenza che in remoto, con la facoltà di organizzare con un minimo di automia il proprio tempo, per l’esecuzione delle pratiche loro affidate.

La possibile soluzione

Come risolvere un problema apparentemente insolubile? La soluzione non è semplice ma alla portata di tutti. Possiamo chiamarla in vari modi: organizzazione, pianificazione, programmazione … e chi più ne sa più ne metta! Il comune denominatore, stante il limitato numero di ore disponibili (uguale per tutti) nell’arco di una giornata, è saper dare le giuste priorità ad ognuna delle attività che dobbiamo svolgere. Le metodiche sono certamente piu’ d’una, non saprei dire qual’è la migliore di tutte ma cio’ che ritengo importante è trovare quella che si confà maggiormente alle nostre attitudini. Personalmente utilizzo con assiduità la matrice di Eisenhower di cui ho trattato di recente a proposito dell’home working. Il risultato che dobbiamo cercare di raggiungere, dovrà soddisfare molte e possibilmente tutte quelle cui giornalmente abbiamo deciso di dare la priorità:

Se è vero che l’orologio scandisce il nostro ritmo quotidiano, tanto da condizionarci in ogni attività, lo è altrettanto la sensazione di benessere che puo’ darci l’essere riusciti a svolgere tutti i nostri compiti senza particolari affanni. Se riuscirete ad organizzare preventivamente i vari impegni della giornata, vi stupirete di riuscire addirittura ad avere del tempo che vi avanza per rilassarvi, leggendo il libro che avevate lasciato in sospeso o stando semplicemente seduti in poltrona a pensare. Non programmare nulla vi darà, al contrario, una costante sensazione di confusione e di incapacità di riuscire a fare tutto.

Nessuno di noi è perfetto ma, pur facendo parte della larga schiera di coloro che talvolta non riescono a “fare tutto” o impiegando piu’ tempo di quanto sarebbe stato prevedibile per svolgere una determinata attività, ho sempre avuto una forte allergia per coloro che giustificano le loro manchevolezze in ambito lavorativo, con le scuse piu’ varie e, in alcuni casi, assolutamente inaccettabili:

  • avevo qualcosa di piu’ importante da fare
  • a causa delle pratiche in scadenza non mi è stato possibile fare altro
  • qualcuno mi ha chiesto di fare altro con urgenza e non ce l’ho fatta
  • avevo degli impegni personali e ho dovuto occuparmi di quelli
  • tanto non c’era un termine improrogabile e lo posso quindi rimandare ad un altro giorno, oppure
  • la scadenza è vicina, il lavoro non è ancora pronto ma possiamo chiedere una proroga
  • non posso perdere tempo a fare questo lavoro, oppure
  • non ho avuto abbastanza tempo, mi servono piu’ ore
  • non sapevo bene come svolgere questo compito ma non ho voluto chiedere a nessuno
  • potevo farmi aiutare dai colleghi ma preferisco fare tutto da me, perché come faccio bene le cose io non le fa nessuno
  • mi sono subentrati degli imprevisti, ho avuto un’emergenza

La lista potrebbe essere ancora piu’ lunga ma gli esempi fatti sono già tanti, e meriterebbero ciascuno un approfondimento per capire quali siano le cause effettive della mancata, o ritardata, esecuzione di un’attività ed individuare le possibili soluzioni. Questo potrebbe essere oggetto di un’ulteriore trattazione da fare in seguito.

Imprevisti

Qualcuno starà già pensando: “bravo, facile a dirsi, ma se ti arriva qualcosa di imprevisto?”. Gli imprevisti sono purtroppo all’ordine del giorno, sarebbe troppo facile se tutto filasse sempre liscio andandosi ad incastrare nelle varie casellini di quello che avevamo previsto di fare; purtroppo sappiamo tutti benissimo che non è cosi’: l’imprevisto è sempre in agguato dietro l’angolo, e ci raggiunge quanto meno ce lo aspettiamo. Dal piu’ banale causato dalla lentezza del traffico se viaggiamo in auto, piuttosto che il rallentamento del treno o altro se usiamo i mezzi pubblici; la febbre del bambino in età scolastica che dobbiamo tenere a casa …. ma non sappiamo a chi affidarlo e le scadenze in ufficio che non possiamo disattendere. Quando, purtroppo, non ci accade anche qualcosa di piu’ grave e che richiederà la nostra priorità assoluta.

Non esistono formule o matrici per gestire cio’ che non è prevedibile, vale in tutte le situazioni e per tutti. La capacità di reagire ad ogni situazione imprevista è strettamente connessa con l’esperienza personale, con la maggiore o minore propensione a mantenere la calma senza farci sopraffare, perdendo la necessaria lucidità per affrontare quanto ci è improvvisamemnte caduto addosso. Non essendo un esperto in questo campo, non ho soluzioni preconfezionate da proporre, se non l’augurio che gli imprevisti siano sempre il minor numero possibile e che comunque siate sempre consapevoli della possibilità che si verifichino, senza sapere quando ne’ altrro. Il suggerimento è quindi di non pianificare mai i vostri impegni con ritmi troppo serrati, senza pause di recupero tra uno e l’altro che vi potranno sempre servire, sia per recuperare le forze, sia per gestire eventuali “sforamenti” di tempo.

Pillole di nétiquette -Email: i destinatari

Cosa si intende per “nétiquette”? lo chiediamo oggi a Luigi Rusconi, Commercialista, iniziando a trattare una serie di argomenti di nètiquette, partendo da uno strumento ormai d’uso quotidiano, sia in ambito lavorativo che personale: le email.

Riporterò molto semplicemente una delle tante definizioni che si trovano online: “sostantivo – In Internet, il complesso delle regole di comportamento volte a favorire il reciproco rispetto tra gli utenti”

Mi tolga una curiosità, come mai un commercialista si ritiene esperto di aspetti normalmente trattati da informatici?

Vede, le ragioni sono essenzialmente due. La prima risale agli anni ’70 quando, contemporaneamente all’avvio degli studi universitari, dopo aver seguito un corso inserito nel mio piano di studi sulla materia, mi ero appassionato al punto da frequentare un corso biennale di informatica. La seconda motivazione nasce dalla mia esperienza negli anni ’80 in multinazionali della consulenza prima ed in gruppi industriali poi.

Mi è abbastanza chiara la prima motivazione. Per la seconda invece, mi spieghi, qual’è l’attinenza con la nétiquette delle email?

In ambito lavorativo, sin da subito, ho avuto la necessità di apprendere le modalità con cui scrivere gli Internal Memorandum, o più brevemente Memo, per la stesura dei quali occorreva prestare la massima attenzione all’individuazione a) dei destinatari principali e b) di quelli copia, oltre naturalmente all’oggetto e al testo dell’argomento trattato.

In che senso? Cosa intende per “prestare attenzione”?

Entrerò subito nel merito delle email che, per molti versi, richiamano l’impostazione di un Memo; in linea di principio i destinatari principali devono sempre essere quelli effettivamente interessati alla nostra comunicazione, cui ci rivolgiamo in modo diretto (A: oppure TO: in lingua inglese). Eventuali altri che, per interesse indiretto o semplice cortesia, vogliamo tenere informati saranno inclusi in copia per conoscenza (CC:). I destinatari andrebbero indicati seguendo precise regole di priorità. A questo fine occorre tenere ben presente la struttura organizzativa in cui ci si trova ad operare.

Quindi come si dovrebbe procedere concretamente nell’indirizzare una mail in azienda?

Guardando l’organigramma che segue possiamo distinguere essenzialmente quattro livelli, con la funzione apicale in alto ed i sottoposti a scendere.

Organization Chart – ACME Corporation

Nell’invio delle mail, sia dall’alto verso il basso che viceversa, es anche orizzontalmente, in presenza di un’organizzazione strutturata con ruoli ben definiti, le gerarchie aziendali vanno assolutamente rispettate. Mi spiego meglio: Mr. Brown non è corretto che scriva direttamente a Mr. Pilgrim, sottoposto di Mr. White, fatto salvo il caso in cui lo abbia preavvertito, mettendolo quindi in copia per conoscenza. Allo stesso modo Mr. Black commetterebbe una grave scorrettetta scrivendo direttamente a Mr. Brown, saltando cosi’ il suo diretto superiore, Miss Widget.

Diverso è il caso dove, date le dimensioni della struttura (una piccola azienda, uno studio professionale e simili), non sia stata chiaramente descritta una struttura organizzativa e la stessa risulti sostanzialmente simile, ad esempio, a questa:

Occorre osservare che in tali tipi di organizzazione, molto diffusa per la grande presenze in Italia di PMI, di ditte individuali e studi con un professionista singolo oppure, nella maggioranza dei casi, con pochi associati, non si provvede se non in rari casi a formalizzare un organigramma e, spesso e volentieri, non vengono neppure identificate delle precise dipendenze gerarchiche. Ma questo meriterebbe una dissertazione a parte e non mi pare qui il caso di dilungarmi.

Semmai ne tratteremo allora in un’altra occasione, se lei ce ne darà l’opportunità. Ma adesso, tornando ai destinatari delle mail, ci dica, come ci si dovrebbe comportare in un’organizzazione non formalmente strutturata?

É molto semplice, i casi posso dire che sono essenzialmente due, e la scelta dipende molto dalla sensibilità al problema dell’imprenditore o del professionista che dirige l’attività. In un caso, tutti scrivono a tutti senza seguire una regola precisa. Nel secondo, le possibili alternative sono: seguire un semplice ordine alfabetico (nome o cognome, anche in base alle logiche di presentazione degli indirizzi del client di posta in uso) oppure, se interessato a ricevere la comunicazione, inserendo innanzitutto il nominativo dell’imprenditore o del professionista e poi, a seguire, quelli degli altri destinatari ad esempio in ordine di seniority aziendale (non anagrafica).

Tornando poi a delle regole applicabili in tutti i casi, indipendentemente dalla struttura in cui si opera e, mi si consenta di rammentare che, anche nell’invio di messaggi personali, mi pare il caso di sottolineare che tra i destinatari diretti (A:) si inserisce esclusivamente chi è immediatamente interessato a ricevere e, se richiesto, a dare seguito alla comunicazione ricevuta

Occorre inoltre distinguere se la mail è indirizzata alla funzione, all’ufficio o reparto (es. Vendite) oppure alla persona, utilizzando di conseguenza l’indirizzo più appropriato. l’uso infine della cosiddetta “copia nascosta” (CCN: o BC: in inglese) va fatto con le dovute accortezze.

In merito all’uso della Copia Nascosta (CCN) o Blind Copy (BC). Quali sono le accortezze che lei consiglierebbe?

Normativa EU sulla Privacy

La “copia nascosta” andrebbe usata con estrema parsimonia, è preferibile in alternativa inoltrare la mail alla persona che si intende mettere a conoscenza del nostro messaggio, sempre nel rispetto delle regole aziendali sopra menzionate. Da non dimenticare infine un aspetto, di non poca rilevanza per i risvolti che potrebbe avere amcnhe sotto il profilo penale: il rigoroso rispetto delle norme sulla Privacy, statuite a livello europeo con il GDPR – General Data Protection Regulation , recepito in Italia con il D.Lgs. 101/2018.

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